Esox 2000 è un club associato ad Esox Italia

lunedì 10 gennaio 2011

L'anguilla una specie da salvare

Pubblichiamo un interessantissimo intervento del Dott. Giuseppe Castaldelli del Dipartimento di Biologia ed Evoluzione dell'Università di Ferrara in merito all'importanza dell'anguilla ed al suo ruolo di specie indicatore dello stato di salute delle acque del Delta del Po.  (Dal convegno “L’anguilla, una specie da conservare” – Comacchio, 2009) 






L’anguilla, una specie da salvare 
di Giuseppe Castaldelli

Nel mio rispondere alle domande principali che ci si pone parlando della situazione attuale dell'anguilla, ovvero quale sia l’ambiente tipico dell’anguilla e quali siano stati gli impatti che l’hanno portata alla quasi scomparsa, faccio un salto nel passato, ricollegandomi a due specie di storione recentemente scomparse e la cui storia è intimamente legata all’evoluzione recente degli ambienti acquatici e della pesca. L’augurio è che l’anguilla non rappresenti l’ultimo atto di questa epopea romantica. 
Lo storione comune Acipenser sturio e lo storione ladano Huso huso sono specie considerabili estinte in Italia, mentre per la terza specie, lo storione cobice Acipenser naccarii, nonostante gli sforzi fatti per il ripopolamento, varie ragioni non ne hanno permesso la ripresa di una popolazione in grado di autosostenersi. Negli anni ’80, sulla base di dati scientifici (Rossi et al, 1989), di fronte alla rapidissima decrescita delle popolazioni di tutte le citate specie di storioni, venne emanato un Decreto del Ministero della Marina Mercantile, che ne vietò la pesca e introdusse taglie minime per la cattura. Era già troppo tardi e da li a pochissimi anni, due delle tre specie scomparvero. L’anguilla è entrata quest’anno nella Appendice II della Convenzione di Washington, C.I.T.E.S. (Convention on International Trade of Endangered Species), che riguarda le specie “soggette a controllo” in relazione al rischio di scomparsa. Non si tratta quindi di un fenomeno locale, ma dichiarato a livello europeo. 
Come prima esaurientemente espresso dagli altri relatori, il ciclo dell’anguilla è molto complesso. È un caso unico che interessa tutte le tipologie di ambiente acquatico: dal torrente, dove arrivavano i ragani (nome con cui si indicano le anguille nello stadio subadulto, successivo a quello di ceca, di lunghezza superiore a 8 cm) per completare l’accrescimento, all’oceano, attraverso cui prima i riproduttori e poi i leptocefali (larve quasi trasparenti a forma di foglia di salice che poi metamorfosano a ceca) si spostano secondo modalità tuttora poco conosciute. Il mondo dell’anguilla, a fasi alterne, è quindi rappresentato da tutti gli ambienti acquatici. 
E per rispondere alla seconda domanda, l’anguilla è una specie robustissima, però questa sua robustezza, questa sua capacità di resistere per decenni a numerose pressioni antropiche che, dal dopo guerra in poi, a vario livello abbiamo messo in campo, purtroppo non è bastata. Infatti, un’altra caratteristica tipica dell’anguilla e di avere un ciclo biologico molto lungo e complicato che tra nascita, maturazione e migrazione riproduttiva, necessita di un periodo compreso tra dieci e quindici anni. Ciò la espone ad una lunga lista di pericoli che cumulativamente costituiscono un rischio molto alto. In ciò, la storia di questo magnifico e misterioso animale è intrinsecamente simile a quella degli storioni, che hanno un ciclo biologico altrettanto lungo, con il raggiungimento della maturità sessuale non prima dei dieci anni di età. Ed è proprio la lunghezza del ciclo biologico a rendere difficile l’interpretazione dell’andamento delle popolazioni: passano molti anni prima che tra l’insorgere di uno o più fattori di disturbo se ne manifestino gli effetti di decremento della consistenza delle popolazioni. Questo è un intrinseco elemento di rischio di superamento di un punto di non ritorno, oltre il quale le popolazioni non riescono più a recuperare. La salvaguardia dell’anguilla è quindi un tema di grande importanza, da affrontare con estrema serietà e programmazione. 
Tra le specie autoctone che ancora si trovano nelle nostre acque, l’anguilla è a pieno titolo quella esposta al rischio maggiore e per questo la sua difesa può divenire un messaggio forte per la difesa della fauna ittica. Per difenderla servono dati oggettivi. Negli anni ’70-’80 c’è stato un grande sforzo scientifico sull’anguilla, condotto soprattutto a Comacchio, principalmente da Rossi e collaboratori, e questi dati rappresentano ancora oggi la più solida base conoscitiva, su cui è stato anche basato il Piano di tutela della Regione Emilia-Romagna. Ma da allora, da quando si è persa l’attenzione produttivistica per l’anguilla, le ricerche si sono esaurite in numero e continuità ed hanno inevitabilmente perso di incisività. Tra i pochi dati consultabili, inerenti le serie storiche del pescato, ricorrono inevitabilmente (rif. diapo) i dati dell’Azienda Valli di Comacchio. Ritengo che si debba iniziare proprio da questa evidenza, fondamentale per una riflessione sul primo dei temi nodali nella analisi della diminuzione della specie: la scomparsa degli ambienti idonei. Osservando il grafico si vede che il tracollo delle rese (kg/ha) è stato più o meno negli anni ’70, al completamento dell’ultima bonifica nella provincia di Ferrara, quella delle valli del Mezzano, 26.000 ettari. Scompaiono 26.000 ettari di ambiente idoneo alla crescita e maturazione delle anguille e ne rimangono 11.000; poi segue l’eutrofizzazione delle valli che porta ulteriori cali di produzione. Ma a guardarci, la storia delle bonifiche ferraresi inizia molto prima, alla fine dell’ottocento, con scomparsa di enormi valli, prosciugate decenni prima di quella del Mezzano. 
Ma allora, perché il tracollo avviene proprio negli anni ’70? È doveroso chiedersi se abbiano contribuito altri fattori, che appunto possono aver influito a vario livello su un ciclo enormemente complesso. Prima ancora di chiedersi cosa sia successo nel mare, vale la pena chiedersi che cosa sia successo nei bacini imbriferi. A mio parere è questo un termine spesso dimenticato ma di importanza sostanziale. Prima, il Dott. Richieri ha citato il problema del calo della rimonta naturale di novellame che porto alla vostra attenzione come dato raccolto localmente, nell’ambito della collaborazione con il Servizio di Protezione della Flora e della Fauna della Provincia di Ferrara. Non sono dati che riguardano Comacchio, ma le acque interne della provincia e possono essere estesi a buona parte della rete idrica della bassa padana. Per quanto riguarda la montata di ragani, i dati raccolti nel biennio 2006-2007, nei canali più importanti della provincia, il Po di Volano fino allo sbarramento di Tieni, ed il Navigabile fino alla conca di navigazione di Valle lepri, con il metodo delle fascine, non sono molto tranquillizzanti, perché si esauriscono con qualche decina di ragani catturati. Tornando alla domanda iniziale, quali sono stati i mutamenti che proprio intorno agli anni ’60 hanno interessato questi corsi d’acqua andando ad influenzare negativamente le specie migratrici ed in particolare l’anguilla? La frammentazione del reticolo idrografico per realizzazione di briglie, chiuse, sbarramenti, conche di navigazione, dighe e centrali idroelettriche non è solo un fenomeno ferrarese. Si tratta di una tendenza che ha interessato tutta l’Europa e che, in Italia, per l’elevata densità delle attività che insistono sul territorio, ha avuto un’intensità molto alta. Non c’è un bacino idrografico, fatta eccezione del Tagliamento, e di pochissimi altri in Friuli, che non sia sbarrato e quindi impraticabile all’anguilla. E quando parliamo di sbarramenti, questa è una foto di Isola Serafini (rif. diapo) che peraltro ha un’importanza relativa, possiamo considerare come insormontabili tutti gli affluenti del Po. Basti citare come esempio il Mincio che dall’immissione in Po al lago di Garda, presenta vari sbarramenti, tutti insormontabili. Con l’interruzione della risalita la quasi totalità dei bacini idrici ha cessato di essere una zona utile per la crescita e la maturazione di anguilla. Questa considerazione ridimensiona di molto l’effetto dato dalla perdita di habitat vallivi, bonificati. A ciò si aggiunge un altro termine, poco nominato, rappresentato dalla perdita degli habitat ripariali. Fiumi, canali e torrenti, dagli anni ’60, sono stati progressivamente e sempre più severamente rettificati, cementificati, regimati con velocità di scorrimento sempre più alte, e perdita di tutto ciò che era habitat marginale. Golene, lanche, fasce riparie sono state sistematicamente eliminate portando, in sostanza, alla perdita di quasi tutte le zone di acque calme, inerbite, ricche di rifugi e di nutrimento, da sempre l’ambiente elettivo di rifugio e crescita degli avannotti ed dei giovanili di anguilla. 
Altro fattore: l’alloctonia. Perché trattare questo termine insieme alla perdita di connettività longitudinale e trasversale dei corsi d’acqua? Perché inizia poco dopo, alla fine degli anni ’70. C’è coincidenza temporale e probabile sinergia tra questi termini nell’aver determinato effetti gravi sulla consistenza delle popolazioni di anguilla. Ad ogni nuovo sbarramento che, negli ultimi cinquanta anni è stato aggiunto sulle vie d’acqua, i ragani in risalita non hanno solamente incontrato un ostacolo insuperabile ma un aumento incalcolabile del rischio di essere predati; predazione da parte di specie autoctone e, in aggiunta, da parte di nuovi predatori alloctoni, efficientissimi in condizioni di torbidità, quali siluro d’Europa e lucioperca. In base ai dati della carta ittica della Regione Emilia-Romagna, nel medio e basso corso del Po circa il 25 % della biomassa è costituita da siluro. Inoltre, i dati raccolti annualmente, dal 2004 al 2008, a Berra (Ferrara), punto di monitoraggio indicativo del Delta, evidenziano una crescita della densità numerica e di biomassa sia del siluro sia dell’aspio, un altro predatore alloctono. Il Po è la maggior via d’acqua per l’anguilla nel nord Italia. Per i fattori riportati, nelle condizioni morfologiche, idrologiche e trofiche attuali, sia del Po sia della maggior parte dei corsi d’acqua del distretto Padano- Veneto, è tecnicamente molto difficile immaginare un piano di tutela dell’anguilla a prescindere dal contenimento dei predatori alloctoni invasivi. Ci sono poi altri elementi che possono essere tenuti in conto, ai fini di un’implementazione e crescita del Piano di tutela dell’anguilla dell’Emilia-Romagna, premettendo che per la tutela dell’anguilla è fondamentale la condivisione di una politica interregionale comune, da parte di Friuli-Venezia-Giulia, Veneto ed Emilia-Romagna. Questi elementi sono lo studio dello sforzo di pesca, di cui si continua a parlare. Di fatto, se guardiamo all’evoluzione recente del comparto, è immediato rendersi conto che dagli anni ’80 ad oggi, in soli 30 anni, la pesca dell’anguilla è quasi cessata. Ciò non è dipeso solamente dal decremento delle rese ma da altri fattori tra cui lo sviluppo della molluschicoltura nelle lagune di tutto l’Adriatico nord-occidentale. La concessione di ampie superfici lagunari per l’allevamento della vongola verace filippina ha, inoltre, impedito la messa in opera di cogolli, bertovelli e palamiti, portanti migliaia di ami per la pesca dell’anguilla. Allo stesso modo, una dopo l’altra, hanno smesso di essere impiegate le reti sommerse di sbarramento alle bocche dei canali. Questo è uno sforzo di pesca che rimane nella memoria ma non esiste più nella pratica degli anni recenti, per la cui caratterizzazione i dati da raccogliere riguardano pochissimi ambienti e poche unità professionali.
Per finire, voglio portare un elemento a nostro parere interessante che è emerso dallo studio della pesca in Po. Negli anni ’90 la pesca all’anguilla era stata del tutto abbandonata. Successivamente, a partire dal 2001, sono ricominciate le catture, cresciute, sia in taglia che in numero fino al 2006, per poi calare nuovamente, come confermato da pescatori professionisti e dilettanti. Quale può essere stata la causa di questo fenomeno? Un reclutamento particolarmente favorevole? Non disponiamo di una risposta ma quanto osservato è comunque interessante in relazione ad un altro fattore che indirettamente riporta l’attenzione a Comacchio. In questo ultimo decennio di pesca in Po la maggior parte delle anguille sono state catturate in primavera. Ciò contrasta con quanto si verificava prima degli anni ’60, quando la pesca era abbondante sia in primavera sia in autunno, momento in cui le anguille femmine, mature sessualmente, cambiano livrea, che da gialla diventa argentea (sono infatti chiamate argentine) e iniziano la migrazione riproduttiva verso il mare. Invece, in questi ultimi anni, la pesca autunnale in Po ha prodotto circa il 2 % di argentine rispetto al 98% del totale, pescato in primavera e costituito di anguille gialle. Quindi, da questi dati preliminari, sembrerebbe che solamente poche delle anguille accresciutesi in Po siano in grado di maturare sessualmente. Nasce spontaneo chiedersi il perché di questa evidenza.
Inquinamento? Di fatto il Po è un ambiente potenzialmente esposto ad inquinamento di varia natura che può interferire con la maturazione sessuale. Per contro, le Valli di Comacchio, sebbene sottoposte, da più di due decenni, ai pesanti effetti di un processo di eutrofizzazione, sono quasi indenni da inquinamento di tipo chimico, in quanto ambiente chiuso per buona parte dell’anno, riguardo il quale sono considerabili un “controllo negativo” o “bianco”. Infatti, negli ultimi anni le anguille pescate in autunno nelle Valli di Comacchio presentavano un ottimo stadio di argentinizzazione, ovvero di completa maturazione sessuale (Gelli, comunicazione personale). Inoltre, come recentemente evidenziato (Sayaff Dezfuli et al.) le anguille di Comacchio presentano un bassissimo tasso di parassitosi. Si tratta quindi di uno stock sano e in grado di completare la maturazione sessuale. Dal punto di vista protezionistico sono caratteristiche di eccellenza che richiamano immediatamente l’attenzione sulle valli, scrigno di uno stock di riproduttori di una specie a rischio. Queste considerazioni richiamano anche l’attenzione sulla necessità di ridurre lo stato trofico di questo prezioso ambiente ed allo stesso tempo di controllare la predazione degli uccelli ittiofagi. Interessanti spunti in tal senso sono stati forniti da Rossi e Cataudella (1998) in occasione del Convegno dal titolo “Risanamento e tutela delle Valli di Comacchio”. Un ulteriore studio, il piano di gestione delle acque della salina di Comacchio, elaborato nell’ambito di un progetto LIFE per conto del Parco del Delta del Po dell’Emilia-Romagna, sostiene le ipotesi di Rossi e Cataudella ed ha evidenziato che la riduzione dello stato trofico delle Valli di Comacchio può iniziare applicando un protocollo innovativo ed opportunamente studiato, delle derivazioni idriche. Per quanto riguarda gli uccelli ittiofagi, Rossi e Cataudella (1998) suggerivano la realizzazione, in adiacenza dei sifoni dal Reno, di una valle di acqua dolce, non solo con valenza di bacino di fitodepurazione ma anche di area tampone della predazione degli uccelli ittiofagi, che orientandosi su ciprinidi di acqua dolce alleggerirebbero quella sull’anguilla. Questi e altri interventi possono costituire un percorso concreto di ripristino delle valli di Comacchio, l’ambiente che per vocazione naturale, storica e culturale rimane, senza dubbio, il più importante in Italia per la salvaguardia dell’anguilla.