Siluro sui banchi del pesce a Milano. Ma il terrorismo non c'entra, anzi in fondo la notizia è buona. Cioè se al mercato ittico cercate un pesce sopra il quintale ma non volete svenarvi per un tonno rosso potrete anche, d'ora in poi, cavarvela con cinque euro al chilo per una sberla lunga fino a tre metri baffi esclusi: appunto un siluro. Pescegatto gigante di bruttezza infinita, tanto amato da una certa élite di pescatori per le battaglie notturne che impone quanto odiato dalla maggior parte degli altri perché predatore di qualsiasi cosa si muova in un fiume, anatre comprese: al punto che le amministrazioni, da anni, multano chi dopo averne preso uno vien beccato a ributtarlo in acqua vivo.
Considerato dai buongustai nostrani immangiabile.
Invece, contrordine. Perché se chiedete ai tanti romeni, bulgari, ungheresi, esteuropei in genere che da tempo vivono a Milano - per non dire degli austriaci, veri estimatori - vi diranno che persino il siluro, sapientemente trattato e fatto in scaloppine, o fritto, o anche al curry, non solo costa poco ma è buono. E infatti per venderlo a loro, da tempo, i banchi del mercato ittico di Milano erano arrivati al paradosso - proprio qui in Lombardia, dove tra fiumi e laghi se ne tirano su tonnellate ogni anno - di importarlo dal Trasimeno o addirittura dal Danubio: sua acqua d'origine, da dove arrivò per la prima volta in Italia mezzo secolo fa. Basta, si cambia.
Merito del protocollo d'intesa che sarà firmato oggi dalle associazioni del pescatori lombardi con Regione, Sogemi, Province di Como, Varese, Lecco e Sondrio. Che hanno investito 41 mila euro per consentire (di più: promuovere) la vendita non solo dei siluri ma anche di altri pesci d'acqua dolce di fama povera quali gardon e carassio (il parente grosso e grigio del pesce rosso, in pratica) provenienti dai laghi Maggiore, di Varese, di Como, di Comabbio e Novate Mezzola, oltre che dal Ticino.
«Questi pesci - riconosce l'assessore regionale all'Agricoltura, Giulio De Capitani - sono formidabili prede per i pescatori più bravi ma sono un problema per l'equilibrio ambientale. La possibilità di commercializzare queste specie può trasformarsi in una opportunità ecologica da una parte e di reddito per i pescatori lombardi dall'altra». «E magari anche nell'occasione - chiude la suo collega al Commercio, Margherita Peroni - per rilanciare altri pesci d'acqua dolce della nostra tradizione come lavarello, coregone, persico, luccio, tinca e sardine: che tutti apprezziamo ma che solo a fatica esportiamo».
Corriere della Sera, Milano (22 giugno 2012)