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venerdì 20 maggio 2011

Gestione, conservazione e contenimenti


Il problema dell'impatto delle specie esotiche (o alloctone) infestanti non solo nell'ambito della pesca sportiva è una delle grandi sfide di fronte alle quali si trova la comunità Europea per evitare il rischio di perdita della biodiversità ed estinzione di interi ecosistemi e specie autoctone. Il Delta del Po come abbiamo in diverse occasioni evidenziato è purtroppo un caso emblematico di devastante impatto di tale fenomeno che oggi vede quest'area di fronte ad un drammatico impoverimento di specie (si veda a tal riguardo il seguente articolo) e calo complessivo di tutte le attività collegate alla pesca, sia di mestiere che sportiva.
Il risultato è una zona in larga parte preda del bracconaggio, sopratutto al pesce siluro, con aumento del degrado generale e perdita di interesse da parte delle amministrazioni e della stessa popolazione civile. Al fine di mantenere alto il livello di sensibilizzazione sull'argomento e fornire un informazione scientifica quanto più autorevole riportiamo le parole del Dott. Cesare Puzzi e del Dott. Gaetano Gentili, di GRAIA (Gestione e Ricerca Ambientale Ittica Acque) in merito ai rischi causati dalle specie esotiche infestanti e alla necessità di operare attività di conservazione/contenimento/monitoraggio.  

Gestione e conservazione delle specie ittiche autoctone 
Degrado ambientale -inquinamento dell’acqua, prelievo idrico, interruzione della connettività longitudinale e trasversale dei corsi d’acqua, rettificazione, cementificazione, regimazione- e poi anche introduzione di specie esotiche, overfishing, bracconaggio, sono i principali responsabili dell’attuale stato di squilibrio e di declino di numerose comunità e popolazioni native, non solo di pesci ma anche di altri animali acquatici, come il gambero d’acqua dolce (Austropotamobius pallipes italicus). Pianificare e realizzare un programma di recupero -reintroduzione o ripopolamento che esso sia- di una specie autoctona non è mai semplice, in quanto sono numerosi i fattori che devono esse considerati. Da un lato la complessità dei rapporti che legano la specie al resto della comunità e dell’intero ecosistema, non sempre chiari ed evidenti, e dall’altro le difficoltà di monitoraggio e di verifica dei risultati –difficilmente quantificabili- delle azioni intraprese, rendono particolarmente impegnativo il raggiungimento dell’obiettivo di recupero della specie. A queste si aggiungono anche le disponibilità limitate di mezzi (non solo finanziari) e di tempo. Per questo motivo, in primo luogo la pianificazione di un qualsivoglia progetto di recupero riveste un ruolo centrale nell’assicurarne il successo, anche parziale. Un progetto di recupero di una specie autoctona comprende attività diverse, di studio, di ricerca applicata, di monitoraggio ambientale e faunistico, di confronto, dialogo e coinvolgimento di tutti gli stakeholders locali, di sperimentazione e verifica, che non può che essere affrontato per fasi successive, ciascuna delle quali, essendo propedeutica alla seguente, è ugualmente importante e indispensabile. 
Tali fasi sono riassumibili in: 

  • Ricostruzione del contesto ambientale storico e attuale di pertinenza del progetto; 
  • Approfondimento delle conoscenze sull’autoecologia e sulle caratteristiche biogeografiche della specie e della popolazione di interesse; 
  • Analisi delle minacce che hanno causato il declino della popolazione e verifica della presenza attuale di minacce che ne possano impedire il recupero; 
  • Studio di fattibilità del progetto di recupero che comprenda la rimozione delle eventuali minacce ambientali tuttora presenti. Valutazione delle possibili alternative e scelta dell’alternativa migliore; 
  • Pianificazione dell’intervento di recupero; 
  • Realizzazione e monitoraggio dell’intervento, eventualmente dopo una sperimentazione in aree-campione; 
  • Eventuale ricalibrazione delle azioni e misure intraprese; 
  • Monitoraggio. 

Gestione e contenimento delle specie ittiche esotiche 
L’introduzione di specie alloctone nel nostro Paese non riguarda soltanto il comparto ittico: questo fenomeno raggiunge livelli elevatissimi soprattutto in campo vegetale: sono infatti numerosi gli esempi di piante alloctone importate per scopi economici, come il mais o l’albicocco, non solo in Italia, ma in tutti i paesi europei. In Europa Centrale si stima siano state introdotte ben 12.000 specie vegetali esotiche, di cui ben 220 stabilmente affermate; su 100 specie introdotte 10 risultano acclimatate ed una comporta seri problemi. Introduzioni di specie ittiche esotiche nelle nostre acque sono avvenute per motivi diversi, accidentalmente o volontariamente, e in tempi anche molto lontani: la carpa comune (Cyprinus carpio), di origine asiatica, ad esempio, è stata importata dai Romani ben 2000 anni fa come specie di interesse alimentare, tanto che oggi, da molti autori, è ritenuta una specie autoctona. Molte delle immissioni sono state compiute volontariamente per acclimatare specie di un certo interesse commerciale: per pesca professionale e allevamento, ma sono frequenti anche i casi in cui specie esotiche sono state introdotte accidentalmente. Un caso eclatante fu quello dell’introduzione di Lates niloticus, il “Nile perch”, nel Lago Vittoria (1954) immesso al fine di compensare il calo demografico delle specie ittiche locali: acclimatatosi in breve tempo, esso causò, infatti, con la sua attività predatoria, la scomparsa di circa 300 delle 500 specie ittiche endemiche del lago. Un esempio felice di introduzione volontaria è, invece, la semina di coregoni nelle acque delle Province di Como e Sondrio: dal 1942 ad oggi il coregone si è perfettamente acclimatato, senza aver intaccato la fauna ittica indigena, e costituendo anzi, una risorsa economica locale molto importante. Esistono anche esempi di introduzioni fallite, come il Salmone argentato nel Lago di Garda e nel Fiume Ticino nel 1975 e ‘78. L’immissione volontaria di specie alloctone può avvenire per motivi diversi: 

  • a scopo alieutico, per rispondere alle esigenze e richieste dei pescatori sportivi; 
  • a scopo alimentare per i pescatori di professione; 
  • per l’allevamento; 
  • come specie d’interesse per l’acquariologia; 
  • per interventi di biomanipolazione o controllo biologico. 

L’introduzione di una specie esotica comporta uno squilibrio all’interno dell’ecosistema di neoimmissione, ma non tutte le introduzioni hanno le stesse conseguenze. Ovviamente ciò dipende dalle caratteristiche autoecologiche della specie introdotta e dalle interazioni che essa instaura con le specie ittiche native e, più in generale, con gli altri organismi dell’ecosistema esistente; frequenti sono i casi in cui l’equilibrio esistente viene totalmente stravolto. Può anche accadere che la specie immessa non riesca ad acclimatarsi stabilmente e in un periodo più o meno lungo e in modo più o meno indolore scompaia dall’ambiente in cui si voleva introdurla. Un esempio è quello riguardante l’introduzione del salmone argenteo (Oncorhynchus kisutch) nel Lago di Garda, dove gli individui immessi non hanno trovato le condizioni ambientali adatte per portare a termine il proprio ciclo vitale, scomparendo così dopo qualche anno dall’introduzione. Analizzando i possibili tipi di rapporti interspecifici che si possono stabilire tra specie introdotta e specie autoctone, si possono verificare i seguenti casi di interazione: 

  • Predazione Competizione 
  • Ibridazione 
  • Modificazioni ambientali Patologie e parassiti 

Nonostante l’irreversibilità del fenomeno dell’introduzione di specie esotiche, per cui solo in rarissimi casi (di insuccesso completo dell’introduzione) le specie esotiche scompaiono del tutto dall’ambiente di neoimmissione, in numerosi casi si rende comunque opportuno quantomeno il ricorso a misure di mitigazione della minaccia derivante dalla diffusione di specie ittiche esotiche particolarmente invasive, per offrire opportunità di ripresa alle popolazioni native e favorire il riequilibrio delle comunità ittiche.